Beirut, la Parigi del Medio Oriente: Jazz, spie e modernità alle porte della rivoluzione

C’è stato un momento della storia in cui la capitale libanese era al centro del mediterraneo: “Beirut è diventata la capitale turistica del Medio Oriente” diceva il New York Times, nel 1966. Una città che faceva battere i cuori di migliaia di persone, un posto evidentemente da sogno. Ma voi vi immaginate cosa rappresenti oggi Parigi per molti? Probabilmente negli anni 60 avremmo sognato Beirut, perché mixava il fascino e l’eleganza parigina con l’oriente, un luogo che per antonomasia associamo a colori, sapori, profumi, tante esperienze nuove da vivere! La ville lumière del Medio Oriente era una città vivace, moderna e altamente cosmopolita a tal punto da essere sede di eventi musicali che attiravano visitatori da tutto il mondo: sapete che nel 1959 vi tenne un concerto un “mostro” del jazz? Louis Amstrong! Chissà cosa avrà pensato il maestro del jazz alla vista di uomini e donne libanesi ballare sulle sue note … uno straordinario esempio di congiungimento tra oriente e occidente! Insomma, probabilmente potrebbe sembrare una scena della pellicola La La Land: la musica coinvolge, sempre, anche nei luoghi più inaspettati. Pensate al senso di libertà che provate voi ascoltando la musica. Immaginiamo: non è che forse gli spettatori arabi si saranno sentiti meno soli e più a contatto con il mondo? Ma quanto è bello sentirsi vivi? Capire di non essere soli nel mondo? Perché in fondo siamo una comunità, una enorme comunità, nonostante le differenze!

Oggi le notizie di cronaca ci raccontano di una realtà molto distante: difficile immaginare qualcosa di diverso per chi, come me, è nato a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio! Ma facciamo un esercizio, insieme: avete presente il film Midnight in Paris? Ecco, immaginiamo di poterci catapultare alla mezzanotte esatta negli anni 60! Probabilmente anche noi ci troveremmo a bere un cocktail in uno dei tanti club in città, ad assistere a uno spettacolo danzante, a respirare l’aria di libertà che echeggiava in ogni angolo della città e nei volti felici dei libanesi. Avremmo quasi certamente visto donne in minigonna, come se volessero urlare silenziosamente “Noi ci siamo, e siamo più forti di prima!”

Un periodo glorioso per il piccolo stato libanese, ma in che senso? Vi do un numero da capogiro: secondo il Times, dalla fine della seconda guerra mondiale al 1968 erano stati realizzati 20.000 uffici e appartamenti! Proprio lì, in un’area più piccola del Connecticut!

Cuore della vita mondana beirutiana erano strade come Hamra e Rue de Phénicie, un pullulare di cafè frequentati da intellettuali. Hamra non dormiva mai: era una sinfonia ininterrotta di voci, sogni, abbracci e addii. Non mancavano neanche mostre artistiche, teatri, hotel di lusso in grado di accogliere anche gli ospiti più esigenti, boutique di capi d’abbigliamento che seguivano le mode occidentali … insomma, non sarà un caso se la celeberrima Brigitte Bardot decise di trascorrere a Beirut le sue vacanze nel 1967!

Proprio per la sua posizione a cavallo tra Oriente e Occidente, Beirut era sede di dinamiche da far concorrenza persino a James Bond: caso Kim Philby, che visse a Beirut dall’agosto del 1956 al gennaio 1963. Kim era un corrispondente di prestigio delle testate britanniche The Economist e The Observer. Ma lui non era chi sosteneva di essere: si trattava di una spia britannica, anzi, un doppiogiochista: fedelissimo dell’URSS scambiava informazioni anche con il KGB sovietico. Che pellicola emozionante vero? Immaginatelo condurre di giorno una noiosa giornata tipo come inviato estero, a prendere appunti, scrivere pezzi, mentre la sera a chiacchierare con importanti diplomatici, aggirandosi, tra l’altro, per le viuzze poco illuminate di Beirut in cerca di un sovietico cui dare strabilianti informazioni. Perché no? Magari ogni tanto riceveva pure qualche elogio niente meno che dal capo supremo dell’URSS: il temutissimo Stalin. Il doppio gioco però saltò a galla, quindi fuggì in Unione Sovietica, abbandonando la sua (terza) moglie, ovviamente ignara di tutto.

Ma non è tutto oro quel che luccica. Il paese, nonostante l’apparente modernità, celava profonde cicatrici: un apparato politico piuttosto fragile, rimasto invariato dagli anni 40, che non rispondeva più ai cambiamenti etnografici, forti tensioni tra i diversi gruppi religiosi, aumento delle disparità tra borghesia, che viveva nel moderno centro di Beirut, e la “cintura della miseria” intorno, popolata da migranti poveri, soprattutto sciiti del sud e profughi palestinesi, spesso senza servizi e opportunità di mobilità sociale. Inoltre, l’arrivo massiccio di milizie palestinesi espulse dalla Giordania negli anni 70 diede un’ulteriore scossa, che fece saltare il tappo della bottiglia che conteneva la spumeggiante società, sfociando nella rivoluzione del 1975 che cambiò per sempre il corso della storia di questa piccola nazione! Ma chissà, in un futuro non troppo lontano, forse, Beirut, e la nazione tutta, potranno ritornare al centro dell’attenzione dei media, ma per un nuovo El Dorado.

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